Queste righe sono commoventi. Non ho parole per commentarle. Le ha scritte Delia Vaccarello per "Fuorispazio", work in progress di ricerca sulle identità.Esistono almeno due asini: l'asino vero e l'asino mitologico. In realtà respirano fianco a fianco: è una delle massime che leggete nell'articolo qui pubblicato a metà tra il racconto e la ricerca filologica e simbolica. Cari lettori, non vi pare succeda a ciascuno di convivere con la realtà che di noi sentiamo intimamente vera e con l'immagine culturale che ambirebbe a rappresentarla? Spesso ci sembra che l'asina e l'asino dentro noi, che faticano, sperano, amano, si commuovono, carezzano..... vivano insieme con l'altra bestia, la bestia mascherata, ricorrente nei luoghi comuni del linguaggio. Si tratta di "nuova convivenza"? O non ritenete anche voi che la nostra ricerca delle identità non possa assolutamente fare a meno di muoversi tra questi riferimenti? Il latte di asina è il più ricco dei nutrimenti e sull'asino fece il suo ingresso Gesù. Il viaggio dell'asino, dunque, ci sembra immagine augurale per l'inizio della ricerca che condurremo insieme a voi, carichi del fardello di curiosità e passioni di cui non ci stancheremo mai. Tenendo le orecchie tese, mai ci stancheremo, infatti, muovendoci tra evocazione e scoperte, di fare come l'asino innamorato o addolorato che raglia alla luna il mistero della vita. Buona lettura.
CAREZZE D'ASINO
di Iceblues
di Iceblues
C'era quel proverbio latino, "asinus fricat asinum", l'asino accarezza l'asino, mi dissero significa che l'ignorante loda l'ignorante, ma io sono asino vero, sono cocciuto, e quel proverbio mi fa pensare soltanto ad un asino che accarezza un altro asino: ad uno come me, insomma. Mi chiamavano il sole notturno: in Oriente, mi misero nelle storie mitologiche. In Oriente ero oscuro e notturno. Mi scangiarono pure per l'unicorno: sì, a me, lo scecco 'mbardato, mi credettero unicorno!! Un greco, Ctesias, raccontò "Guardate che in India c'è un asino bianco, ha un corno sulla fronte, e vola!!"Ci credettero in tanti; si dice ancora adesso, che gli asini volano, ma forse ormai ci credono soltanto i bambini. Mi scangiarono per l'unicorno ma io continuavo a portare i pesi in bilico sui dirupi d'Europa e nelle steppe orientali, prendendo un fracco di legnate e morendo di stenti.
E Fedro, quello che contava le favolette sugli animali, mi mise dentro un indovinello. Non volavo, nell'indovinello, lì c'ero proprio io, asino vero e fatto. L'indovinello diceva: "Come fanno a picchiarmi anche da morto?" Non indovini? Eppure se ci pensi è facile: mi picchiano anche da morto perché con la mia pelle ci fanno i tamburi; e i tamburi si suonano picchiandoci sopra. Te lo ricordi quel burattino di legno, col suo amico? Scapparono da scuola, andarono a 'babbiare nel paese dei balocchi, e una mattina si svegliarono con le orecchie d'asino. Pinocchio, si chiamava il burattino: diventato asino, finì in un circo, si azzoppò e lo comprò un signore che pensò di annegarlo per vendere la pelle e farci un tamburo.
Sono così stanco. Eppure posso portare carichi pesantissimi costeggiando i dirupi, non cado giù e non mi vengono le vertigini; se esistono posti al mondo dove cascano gli asini, e non esistono, te l'assicuro, li chiamano ruzzulascecchi, e infatti è una metafora, mi hanno spiegato: trovarsi in un brutto ruzzulascecchi vuol dire non avere vie d'uscita, perché agli uomini piace usare gli asini come metafore. Così ci sono stati sempre due asini, l'asino vero, quello che porta i carichi pesanti e piglia le bastonate, e l'asino metaforico/mitologico che vola e vive avventure strabilianti. E in Sicilia, dove sto adesso, c'è l'asino vero - che sarei io - e l'asino mitologico: viviamo insieme, spesso ci confondono, mi confondo anch'io, ma io adoro la confusione: poi qui ne raccontano anche di comiche su di me, e a me piace ridere. A volte confidano nella mia non comune resistenza e mi chiedono cose impossibili. Sono molto stanco, ormai, te l'ho già detto. Vorrei sdraiarmi a terra e dormire: sì, hai capito bene, non sono un cavallo, quando voglio dormire mi butto per terra. Ma dormo così poco. Il lavoro è sempre stato immenso: ecco perché casco a terra dal sonno. Non sono sempre stato così stanco. Ero la ricchezza principale dei patriarchi, Abramo, Mosè, quella gente lì. Mi trovi dentro il Vecchio e il Nuovo Testamento. Ho fatto compagnia a diversi profeti e ho riscaldato quel Bambino freddoloso nella grotta, insieme al bue; suo padre, Giuseppe, un giorno fuggì in Egitto con la famiglia, e dove caricò i bagagli, la moglie, il figlio piccolo? Sopra la mia groppa, li caricò, e li portai in salvo fino in Egitto.Non conosco bene la storia, sono sempre un asino, però un giorno non ci fu più pericolo e li ricondussi tutti a casa, nella vecchia Palestina. Quel Bambino, da grande, divenne predicatore, si mise ad annunciare una cosa chiamata Buona Novella, fece l'ingresso messianico a Gerusalemme, e chi c'era con lui? Io!! Quel matto entrò a Gerusalemme cavalcando un asino. Poteva scegliere un cavallo coperto di finimenti eleganti, e invece prese me: oh, quanto li stupì che il Figlio di Dio - non chiedermi che fine ha fatto Giuseppe - scelse proprio me, l'animale più disprezzato, per entrare a Gerusalemme. Sono millenni che ci si arrovellano: scrissero centinaia di libri, ogni volta mi studiano a fondo, si chiedono pure se ero asino maschio o asino femmina. Se l'asino era femmina la cosa si faceva più fine, la femmina della mia specie è simbolo di povertà, umiltà, dolcezza, sottomissione. Io rido.
Dissero che lo fece per non dare nell'occhio, gli volle mandare il messaggio trasversale, tipo "calma figghioli, non vengo a fare la rivoluzione politica, ma solo quella spirituale, dove posso andare con un asino che cammina e basta, non galoppa e non corre?"......Mah!
Invece si spiega benissimo il fatto che quell'ubriacone di Bacco mi scelse come mezzo di trasporto ufficiale. E certo!! Chi se non io poteva portare in groppa quell'ubriacone sempre allegro e sempre in vena di fare buffonate? Con lui sì che c'era da divertirsi. Ci siamo rotolati dalla risate quando dissero che Bacco inventò la potatura della vite perché i tralci che brucavo io dopo crescevano più rigogliosi. Ma chi se lo ricorda!! Hanno idea di cos'era stare con Bacco? Una festa continua, e i suoi amici erano tutti avvinazzati come lui. Quannu mai Bacco si fermò a pensare a qualcosa che non era bere e fare orge? Figurati se si accorgeva che io brucavo i tralci della vite e dopo crescevano più rigogliosi.
A proposito di bere.... il latte d'asina è quello che per composizione chimica si avvicina più a quello di donna; e ci furono quelle granissime buttane - io non mi permetterai mai di chiamarle così, è la vostra storia che le chiama così - Poppea, Cleopatra, Frine e Messalina - lo sanno tutti, perfino gli asini come me - facevano il bagno dentro il latte d'asina, si erano fissate che gli faceva bene alla pelle. In Sicilia mi dedicarono tanti proverbi. "Cu lava a testa o sceccu perdi lu sapuni": chi mi lava la testa perde il sapone. In Sicilia mi chiamano sceccu. Che poi sempre asino significa. "U parrari di lu sceccu è lu ragghio": e in quale altro modo dovrei parlare? Quando sono innamorato raglio da spaccare i timpani. E anche quando provo dolore - e ti assicuro che ne provo molto, di dolore, anche se mi credono ottuso - raglio alla luna. Ragliare mi basta: non servono molte parole quando nasci sceccu. "U sceccu si canusci ri ricchi": beh, io sono molto fiero delle mie orecchie.
Sono notturno, ti dissi. C'erano quelle vampire, le Empuse, sozzi demoni figli di Ecate: c'è bisogno che te lo spiego? Avevano natiche d'asino, potevano avere anche una gamba d'asino e una di bronzo. Si trasformavano in cagne, vacche, belle fanciulle, si giacevano con gli uomini e gli succhiavano via tutte le forze vitali. Perché io sono anche il simbolo della lussuria e sono anche l'animale dell'oscurità, il figlio delle forze del male. Mi fermai in Sicilia perché qui mi fecero il monumento. In acciaio inox, cosa credi? Mi scolpirono robusto e snodabile come l'asino vero. Lo fece Nino Ucchino, artista famoso, mica uno così. Chiamò pure un sacco di persone con una testa grande assai, e ci fece scrivere dei pensieri belli su di me dentro un libro. Mi piacque più di tutto quello che scrisse Josè Saramago: "Dopo tanti monumenti dedicati a certi uomini che sono stati asini, finalmente un monumento all'asino che è stato vero uomo". Non ti spiego cosa significa perché sempre sceccu sono, però mi piace, senti come suona bene?
Te li ricordi gli inseparabili otto immortali della cultura taoista? Uno di loro è Zhang Guolao, eremita della montagna dello Shanxi, e simboleggia la vecchiaia.Aveva il dono dell'invisibilità e resisteva ad ogni tipo di veleni. La sua cavalcatura era un asino bianco, un asino che correva veloce. Ma la cosa bella è che questo asino, la sera, si appiattiva magicamente e si piegava come un foglio di carta. Zhang, prima di coricarsi, lo conservava dentro una borsetta. Al mattino, Zhang lanciava una potente sputazzata al foglio di carta e l'asino tornava asino. In Oriente ero proprio un eroe. In Occidente me la passai spesso male, invece: nel Rinascimento, se si voleva ritrarre un individuo negativo, lubrico, moralmente abietto, gli facevano la faccia d'asino. In Oriente ero il corsiero del sole notturno, volavo e combattevo come un eroe coraggioso. Danzavo, suonavo, amavo le donne e gli unguenti profumati: ero benefico e malefico, dio e demone.
Ci fu quel ragazzo, Lucio, lo racconta Apuleio, si trasformò in asino perché bevve un unguento asinino: tornò al sole, cioè giovane e brillante, solo dopo che gli riuscì di mangiare delle rose. L'amore carnale per una cortigiana l'aveva trasformato in asino, le rose dell'aurora, simbolo della resurrezione spirituale, lo fecero tornare uomo.
Dammi da bere, sono stanco, non sono abituato a discorrere così a lungo. Sono anche un simbolo fallico, si dice che quando mi picchiano e mi bastonano in realtà gli uomini puniscono e mortificano il loro corpo: questa storia delle metafore, ora che ci penso non mi piace poi tanto. Gli adulteri in Oriente ed in Occidente venivano fatti sfilare su un asino girato all'indietro. Vieni, torniamo in Grecia. Ti racconto perché le mie orecchie d'asino diventarono famose. Un giorno, Mida, il re di Frigia arriva sul monte Tmolo, in Lidia, e trova Apollo e Pan intenti a sciarriarsi: ognuno dei due si crede il musicista più bravo. Chiedono a Mida di decidere chi è il migliore tra i due. Mida sceglie Pan. Apollo, irritato gli fa crescere un paio di orecchie d'asino: voleva dire, tu Mida non capisci un'emerita minchia di musica, perché alla lira preferisci il flauto, cioè una musica più semplice, più sensuale, meno spirituale. Mida in fondo è cresciuto in campagna, come me; chi ha le orecchie d'asino non può apprezzare certe raffinatezze estetiche, dicono. E poi Mida è anche l'antenato dei frigi: i troiani sono rappresentati dall'asino, i greci dal cavallo.E siccome il sole manda via la notte, il cavallo vince l'asino. Ero segnato, capisci? Così arrivai già sfortunato e negletto in Occidente. Ti confido un segreto: in realtà Pan è asino come me. Pan vive in Arcadia, lì è pieno di asini che scorrazzano liberi. L'Arcadia è così bella che quando gli dei dell'Olimpo si stufano di stare nella reggia di Zeus, vanno a passeggiare fra i suoi boschi ombrosi e si ristorano accanto alle sue fresche sorgenti. C'è un asino che sta in cielo ed è il guardiano divino dell'ambrosia, il nettare degli dei. Quando l'asino scende in Arcadia prende le forme di Pan, il dio dei pastori. Pan ha una voce terribile - è un raglio - e con quella voce fa scappare i nemici. E Mida preferì la musica di Pan a quella di Apollo perché, come già ti spiegai, l'asino accarezza l'asino. Di concorso truccato si trattò! Re Mida sceccu era, preciso e sputato a Pan!! L'Arcadia qualche volta me la sogno di notte, ma non ci vivrei: troppe rivalità, troppo stress. Ormai conosco bene le campagne siciliane, in quale altra parte di mondo potrei vivere? Non me la sento di abbandonare quel contadino mezzo scemo e mezzo sapiente; Giufà, si chiama. Non si capisce se ci fa o ci è, ma mi diverto a stare dentro le sue storie. Una volta gli morì la moglie e non pianse. Gli morì l'asino e cominciò a piangere disperato. I contadini vicini di casa, gli amici, gli chiesero: "Perché per tua moglie non hai versato una sola lacrima e invece per il tuo asino morto ti disperi? Volevi più bene all'asino che a tua moglie?" Giufà rispose: "Quando è morta mia moglie tutti mi avete fatto le condoglianze, dicevate non rattristarti, di donne ce ne sono tante, e chi mi offriva la sorella, chi la cognata, ma nessuno, quando è morto il mio asino, mi ha detto non ti affliggere, ti darò un altro asino al posto di quello morto".
Ti confido un altro segreto ancora più grande. Un segreto da asini, ma per me è importante. Ci fu un uomo, nato in questa terra, che mi conobbe e mi scrisse così come sono davvero. Non lo so, forse era un po' sceccu pure lui, nell'animo, perché quando racconta di me sono preciso e sputato come mi vedi adesso: con la schiena un po' spezzata, il fiato spesso, una stanchezza insostenibile, le zampe gonfie di sangue. Si chiamava Giovanni Verga. In quella novella, "L'asino di San Giuseppe", ti dico già da ora che non volo e non capita il lieto fine. C'è un asino col mantello bianco e nero - perciò lo chiamano asino di San Giuseppe - è ancora così piccolo che quando vede un'asina corre a cercarle le poppe e già per quello prende le prime possenti bastonate. Lo vendono alla fiera di Buccheri, e lo compra compare Neli per 32 lire. Lo mettono a lavorare alla trebbiatura, va su e giù per i covoni, la sera è così stanco che non riesce a mangiare, il trottare continuo gli fa calare il sangue alle zampe; lo portano dal maniscalco che gliele brucia. Dopo averlo spremuto, compare Neli lo rivende per 20 lire. Lo compra massaro Cirino. L'asino solca la terra percorrendo miglia e miglia, dall'alba fino alla sera: si spacca la pelle a tirar via le zolle indurite dal gelo, ma il campicello è sassoso, desolato, l'annata ormai è perduta. L'asino viene di nuovo ceduto, lo compra un carrettiere, compare Luciano, per sole 15 lire, perché ad occhio non tirerà avanti altri sei mesi. L'asino impara a tirare il carro, ma è troppo alto di stanghe per lui, il carico gli pesa tutto sulle spalle, il carrettiere, gli fa ritrovare il fiato a forza di legnate. Arrancava per le salite, ma in discesa era pure peggio perché il carico gli correva avanti. A volte la gente, vedendolo puntare le zampe senza forze, inarcare la schiena, il fiato spesso e l'occhio scoraggiato, si impietosiva, chiedeva al carrettiere di lasciar "ripigliare lena alla povera bestia". Ma compare Luciano rispondeva: "Se lo lascio fare, quindici tarì al giorno non li guadagno...quando sarà completamente andato lo venderò a quello del gesso". Così fu venduto per meno di sette lire a quello del gesso. L'asino di San Giuseppe era coperto di cicatrici, aveva le spalle logorate dal pettorale, il garrese rovinato dal basto e dall'aratro, i ginocchi rotti per le troppe cadute. Portava i saccarelli di gesso e prendeva legnate. Quando anche l'uomo del gesso non ne potè più lo cede ad una povera vedova che vendeva il legname che il figlio rubava. La donna accumula legname sulle spalle dell'asino: lo carica di legno come una montagna, tanto che non si vedono le orecchie. Ma il campiere del barone becca il ragazzo che rubava e lo massacra di legnate. La povera vedova spende tutto quello che ha per curare il figlio. Una notte, disperata, spacca un mandorlo e ci fa un po' legna. La carica sull'asino per andare a venderla. Ma l'asino, durante una salita, si inginocchia e non vuole più alzarsi. La vedova chiede aiuto ai passanti, i passanti tirano l'asino per la coda ma l'animale non si alza. Un carrettiere osserva: "È inutile, non vedete che sta per morire?" La donna piange: "Che faremo ora, che faremo?" E il carrettiere: "Se volete, con tutta la legna vi do cinque tarì. Compro soltanto la legna, perché l'asino ecco cosa vale!". Dà una pedata alla povera bestia e Verga conclude dicendo che quella pedata "suonò come un tamburo sfondato".
È triste, lo so. Ma è la verità. Adesso devo lasciarti, si è fatto tardi, ho bisogno di dormire. Guarda quelle ceste vuote, laggiù in fondo, dove la stalla è più buia: domattina all'alba saranno piene di roba pesantissima, te l'assicuro, me le caricheranno sulle spalle e dovrò andare lontano, verso la montagna. Come quell'asino che ho visto su una rivista di foto di guerra. Non dirlo a nessuno che so leggere, tanto non ci crederebbero. C'erano immagini tristi da tutto il mondo, in quella rivista, Afghanistan, Cecenia, Vietnam, Israele: morti abbandonati per la strade, palazzi in macerie, bambini nati deformi per i gas tossici lanciati dai soldati, fosse comuni. E poi, proprio nell'ultima pagina, appare questa foto in bianco e nero: un asino come me, forse un po' più piccolo. Sui fianchi gli avevano legato con delle corde ruvide due grossi bidoni pieni d'acqua. Coi bidoni appesi ai fianchi, prima di portare al villaggio africano il suo carico prezioso, si è chinato a bere lungo le rive di un laghetto.Ho ritagliato la foto: guarda, è tutta stropicciata, ormai, ma io tutte le sere, prima di addormentarmi, accarezzo l'immagine di questo asinello. Vedi che non è poi niente di brutto accarezzare un asino se sei un asino anche tu?
E Fedro, quello che contava le favolette sugli animali, mi mise dentro un indovinello. Non volavo, nell'indovinello, lì c'ero proprio io, asino vero e fatto. L'indovinello diceva: "Come fanno a picchiarmi anche da morto?" Non indovini? Eppure se ci pensi è facile: mi picchiano anche da morto perché con la mia pelle ci fanno i tamburi; e i tamburi si suonano picchiandoci sopra. Te lo ricordi quel burattino di legno, col suo amico? Scapparono da scuola, andarono a 'babbiare nel paese dei balocchi, e una mattina si svegliarono con le orecchie d'asino. Pinocchio, si chiamava il burattino: diventato asino, finì in un circo, si azzoppò e lo comprò un signore che pensò di annegarlo per vendere la pelle e farci un tamburo.
Sono così stanco. Eppure posso portare carichi pesantissimi costeggiando i dirupi, non cado giù e non mi vengono le vertigini; se esistono posti al mondo dove cascano gli asini, e non esistono, te l'assicuro, li chiamano ruzzulascecchi, e infatti è una metafora, mi hanno spiegato: trovarsi in un brutto ruzzulascecchi vuol dire non avere vie d'uscita, perché agli uomini piace usare gli asini come metafore. Così ci sono stati sempre due asini, l'asino vero, quello che porta i carichi pesanti e piglia le bastonate, e l'asino metaforico/mitologico che vola e vive avventure strabilianti. E in Sicilia, dove sto adesso, c'è l'asino vero - che sarei io - e l'asino mitologico: viviamo insieme, spesso ci confondono, mi confondo anch'io, ma io adoro la confusione: poi qui ne raccontano anche di comiche su di me, e a me piace ridere. A volte confidano nella mia non comune resistenza e mi chiedono cose impossibili. Sono molto stanco, ormai, te l'ho già detto. Vorrei sdraiarmi a terra e dormire: sì, hai capito bene, non sono un cavallo, quando voglio dormire mi butto per terra. Ma dormo così poco. Il lavoro è sempre stato immenso: ecco perché casco a terra dal sonno. Non sono sempre stato così stanco. Ero la ricchezza principale dei patriarchi, Abramo, Mosè, quella gente lì. Mi trovi dentro il Vecchio e il Nuovo Testamento. Ho fatto compagnia a diversi profeti e ho riscaldato quel Bambino freddoloso nella grotta, insieme al bue; suo padre, Giuseppe, un giorno fuggì in Egitto con la famiglia, e dove caricò i bagagli, la moglie, il figlio piccolo? Sopra la mia groppa, li caricò, e li portai in salvo fino in Egitto.Non conosco bene la storia, sono sempre un asino, però un giorno non ci fu più pericolo e li ricondussi tutti a casa, nella vecchia Palestina. Quel Bambino, da grande, divenne predicatore, si mise ad annunciare una cosa chiamata Buona Novella, fece l'ingresso messianico a Gerusalemme, e chi c'era con lui? Io!! Quel matto entrò a Gerusalemme cavalcando un asino. Poteva scegliere un cavallo coperto di finimenti eleganti, e invece prese me: oh, quanto li stupì che il Figlio di Dio - non chiedermi che fine ha fatto Giuseppe - scelse proprio me, l'animale più disprezzato, per entrare a Gerusalemme. Sono millenni che ci si arrovellano: scrissero centinaia di libri, ogni volta mi studiano a fondo, si chiedono pure se ero asino maschio o asino femmina. Se l'asino era femmina la cosa si faceva più fine, la femmina della mia specie è simbolo di povertà, umiltà, dolcezza, sottomissione. Io rido.
Dissero che lo fece per non dare nell'occhio, gli volle mandare il messaggio trasversale, tipo "calma figghioli, non vengo a fare la rivoluzione politica, ma solo quella spirituale, dove posso andare con un asino che cammina e basta, non galoppa e non corre?"......Mah!
Invece si spiega benissimo il fatto che quell'ubriacone di Bacco mi scelse come mezzo di trasporto ufficiale. E certo!! Chi se non io poteva portare in groppa quell'ubriacone sempre allegro e sempre in vena di fare buffonate? Con lui sì che c'era da divertirsi. Ci siamo rotolati dalla risate quando dissero che Bacco inventò la potatura della vite perché i tralci che brucavo io dopo crescevano più rigogliosi. Ma chi se lo ricorda!! Hanno idea di cos'era stare con Bacco? Una festa continua, e i suoi amici erano tutti avvinazzati come lui. Quannu mai Bacco si fermò a pensare a qualcosa che non era bere e fare orge? Figurati se si accorgeva che io brucavo i tralci della vite e dopo crescevano più rigogliosi.
A proposito di bere.... il latte d'asina è quello che per composizione chimica si avvicina più a quello di donna; e ci furono quelle granissime buttane - io non mi permetterai mai di chiamarle così, è la vostra storia che le chiama così - Poppea, Cleopatra, Frine e Messalina - lo sanno tutti, perfino gli asini come me - facevano il bagno dentro il latte d'asina, si erano fissate che gli faceva bene alla pelle. In Sicilia mi dedicarono tanti proverbi. "Cu lava a testa o sceccu perdi lu sapuni": chi mi lava la testa perde il sapone. In Sicilia mi chiamano sceccu. Che poi sempre asino significa. "U parrari di lu sceccu è lu ragghio": e in quale altro modo dovrei parlare? Quando sono innamorato raglio da spaccare i timpani. E anche quando provo dolore - e ti assicuro che ne provo molto, di dolore, anche se mi credono ottuso - raglio alla luna. Ragliare mi basta: non servono molte parole quando nasci sceccu. "U sceccu si canusci ri ricchi": beh, io sono molto fiero delle mie orecchie.
Sono notturno, ti dissi. C'erano quelle vampire, le Empuse, sozzi demoni figli di Ecate: c'è bisogno che te lo spiego? Avevano natiche d'asino, potevano avere anche una gamba d'asino e una di bronzo. Si trasformavano in cagne, vacche, belle fanciulle, si giacevano con gli uomini e gli succhiavano via tutte le forze vitali. Perché io sono anche il simbolo della lussuria e sono anche l'animale dell'oscurità, il figlio delle forze del male. Mi fermai in Sicilia perché qui mi fecero il monumento. In acciaio inox, cosa credi? Mi scolpirono robusto e snodabile come l'asino vero. Lo fece Nino Ucchino, artista famoso, mica uno così. Chiamò pure un sacco di persone con una testa grande assai, e ci fece scrivere dei pensieri belli su di me dentro un libro. Mi piacque più di tutto quello che scrisse Josè Saramago: "Dopo tanti monumenti dedicati a certi uomini che sono stati asini, finalmente un monumento all'asino che è stato vero uomo". Non ti spiego cosa significa perché sempre sceccu sono, però mi piace, senti come suona bene?
Te li ricordi gli inseparabili otto immortali della cultura taoista? Uno di loro è Zhang Guolao, eremita della montagna dello Shanxi, e simboleggia la vecchiaia.Aveva il dono dell'invisibilità e resisteva ad ogni tipo di veleni. La sua cavalcatura era un asino bianco, un asino che correva veloce. Ma la cosa bella è che questo asino, la sera, si appiattiva magicamente e si piegava come un foglio di carta. Zhang, prima di coricarsi, lo conservava dentro una borsetta. Al mattino, Zhang lanciava una potente sputazzata al foglio di carta e l'asino tornava asino. In Oriente ero proprio un eroe. In Occidente me la passai spesso male, invece: nel Rinascimento, se si voleva ritrarre un individuo negativo, lubrico, moralmente abietto, gli facevano la faccia d'asino. In Oriente ero il corsiero del sole notturno, volavo e combattevo come un eroe coraggioso. Danzavo, suonavo, amavo le donne e gli unguenti profumati: ero benefico e malefico, dio e demone.
Ci fu quel ragazzo, Lucio, lo racconta Apuleio, si trasformò in asino perché bevve un unguento asinino: tornò al sole, cioè giovane e brillante, solo dopo che gli riuscì di mangiare delle rose. L'amore carnale per una cortigiana l'aveva trasformato in asino, le rose dell'aurora, simbolo della resurrezione spirituale, lo fecero tornare uomo.
Dammi da bere, sono stanco, non sono abituato a discorrere così a lungo. Sono anche un simbolo fallico, si dice che quando mi picchiano e mi bastonano in realtà gli uomini puniscono e mortificano il loro corpo: questa storia delle metafore, ora che ci penso non mi piace poi tanto. Gli adulteri in Oriente ed in Occidente venivano fatti sfilare su un asino girato all'indietro. Vieni, torniamo in Grecia. Ti racconto perché le mie orecchie d'asino diventarono famose. Un giorno, Mida, il re di Frigia arriva sul monte Tmolo, in Lidia, e trova Apollo e Pan intenti a sciarriarsi: ognuno dei due si crede il musicista più bravo. Chiedono a Mida di decidere chi è il migliore tra i due. Mida sceglie Pan. Apollo, irritato gli fa crescere un paio di orecchie d'asino: voleva dire, tu Mida non capisci un'emerita minchia di musica, perché alla lira preferisci il flauto, cioè una musica più semplice, più sensuale, meno spirituale. Mida in fondo è cresciuto in campagna, come me; chi ha le orecchie d'asino non può apprezzare certe raffinatezze estetiche, dicono. E poi Mida è anche l'antenato dei frigi: i troiani sono rappresentati dall'asino, i greci dal cavallo.E siccome il sole manda via la notte, il cavallo vince l'asino. Ero segnato, capisci? Così arrivai già sfortunato e negletto in Occidente. Ti confido un segreto: in realtà Pan è asino come me. Pan vive in Arcadia, lì è pieno di asini che scorrazzano liberi. L'Arcadia è così bella che quando gli dei dell'Olimpo si stufano di stare nella reggia di Zeus, vanno a passeggiare fra i suoi boschi ombrosi e si ristorano accanto alle sue fresche sorgenti. C'è un asino che sta in cielo ed è il guardiano divino dell'ambrosia, il nettare degli dei. Quando l'asino scende in Arcadia prende le forme di Pan, il dio dei pastori. Pan ha una voce terribile - è un raglio - e con quella voce fa scappare i nemici. E Mida preferì la musica di Pan a quella di Apollo perché, come già ti spiegai, l'asino accarezza l'asino. Di concorso truccato si trattò! Re Mida sceccu era, preciso e sputato a Pan!! L'Arcadia qualche volta me la sogno di notte, ma non ci vivrei: troppe rivalità, troppo stress. Ormai conosco bene le campagne siciliane, in quale altra parte di mondo potrei vivere? Non me la sento di abbandonare quel contadino mezzo scemo e mezzo sapiente; Giufà, si chiama. Non si capisce se ci fa o ci è, ma mi diverto a stare dentro le sue storie. Una volta gli morì la moglie e non pianse. Gli morì l'asino e cominciò a piangere disperato. I contadini vicini di casa, gli amici, gli chiesero: "Perché per tua moglie non hai versato una sola lacrima e invece per il tuo asino morto ti disperi? Volevi più bene all'asino che a tua moglie?" Giufà rispose: "Quando è morta mia moglie tutti mi avete fatto le condoglianze, dicevate non rattristarti, di donne ce ne sono tante, e chi mi offriva la sorella, chi la cognata, ma nessuno, quando è morto il mio asino, mi ha detto non ti affliggere, ti darò un altro asino al posto di quello morto".
Ti confido un altro segreto ancora più grande. Un segreto da asini, ma per me è importante. Ci fu un uomo, nato in questa terra, che mi conobbe e mi scrisse così come sono davvero. Non lo so, forse era un po' sceccu pure lui, nell'animo, perché quando racconta di me sono preciso e sputato come mi vedi adesso: con la schiena un po' spezzata, il fiato spesso, una stanchezza insostenibile, le zampe gonfie di sangue. Si chiamava Giovanni Verga. In quella novella, "L'asino di San Giuseppe", ti dico già da ora che non volo e non capita il lieto fine. C'è un asino col mantello bianco e nero - perciò lo chiamano asino di San Giuseppe - è ancora così piccolo che quando vede un'asina corre a cercarle le poppe e già per quello prende le prime possenti bastonate. Lo vendono alla fiera di Buccheri, e lo compra compare Neli per 32 lire. Lo mettono a lavorare alla trebbiatura, va su e giù per i covoni, la sera è così stanco che non riesce a mangiare, il trottare continuo gli fa calare il sangue alle zampe; lo portano dal maniscalco che gliele brucia. Dopo averlo spremuto, compare Neli lo rivende per 20 lire. Lo compra massaro Cirino. L'asino solca la terra percorrendo miglia e miglia, dall'alba fino alla sera: si spacca la pelle a tirar via le zolle indurite dal gelo, ma il campicello è sassoso, desolato, l'annata ormai è perduta. L'asino viene di nuovo ceduto, lo compra un carrettiere, compare Luciano, per sole 15 lire, perché ad occhio non tirerà avanti altri sei mesi. L'asino impara a tirare il carro, ma è troppo alto di stanghe per lui, il carico gli pesa tutto sulle spalle, il carrettiere, gli fa ritrovare il fiato a forza di legnate. Arrancava per le salite, ma in discesa era pure peggio perché il carico gli correva avanti. A volte la gente, vedendolo puntare le zampe senza forze, inarcare la schiena, il fiato spesso e l'occhio scoraggiato, si impietosiva, chiedeva al carrettiere di lasciar "ripigliare lena alla povera bestia". Ma compare Luciano rispondeva: "Se lo lascio fare, quindici tarì al giorno non li guadagno...quando sarà completamente andato lo venderò a quello del gesso". Così fu venduto per meno di sette lire a quello del gesso. L'asino di San Giuseppe era coperto di cicatrici, aveva le spalle logorate dal pettorale, il garrese rovinato dal basto e dall'aratro, i ginocchi rotti per le troppe cadute. Portava i saccarelli di gesso e prendeva legnate. Quando anche l'uomo del gesso non ne potè più lo cede ad una povera vedova che vendeva il legname che il figlio rubava. La donna accumula legname sulle spalle dell'asino: lo carica di legno come una montagna, tanto che non si vedono le orecchie. Ma il campiere del barone becca il ragazzo che rubava e lo massacra di legnate. La povera vedova spende tutto quello che ha per curare il figlio. Una notte, disperata, spacca un mandorlo e ci fa un po' legna. La carica sull'asino per andare a venderla. Ma l'asino, durante una salita, si inginocchia e non vuole più alzarsi. La vedova chiede aiuto ai passanti, i passanti tirano l'asino per la coda ma l'animale non si alza. Un carrettiere osserva: "È inutile, non vedete che sta per morire?" La donna piange: "Che faremo ora, che faremo?" E il carrettiere: "Se volete, con tutta la legna vi do cinque tarì. Compro soltanto la legna, perché l'asino ecco cosa vale!". Dà una pedata alla povera bestia e Verga conclude dicendo che quella pedata "suonò come un tamburo sfondato".
È triste, lo so. Ma è la verità. Adesso devo lasciarti, si è fatto tardi, ho bisogno di dormire. Guarda quelle ceste vuote, laggiù in fondo, dove la stalla è più buia: domattina all'alba saranno piene di roba pesantissima, te l'assicuro, me le caricheranno sulle spalle e dovrò andare lontano, verso la montagna. Come quell'asino che ho visto su una rivista di foto di guerra. Non dirlo a nessuno che so leggere, tanto non ci crederebbero. C'erano immagini tristi da tutto il mondo, in quella rivista, Afghanistan, Cecenia, Vietnam, Israele: morti abbandonati per la strade, palazzi in macerie, bambini nati deformi per i gas tossici lanciati dai soldati, fosse comuni. E poi, proprio nell'ultima pagina, appare questa foto in bianco e nero: un asino come me, forse un po' più piccolo. Sui fianchi gli avevano legato con delle corde ruvide due grossi bidoni pieni d'acqua. Coi bidoni appesi ai fianchi, prima di portare al villaggio africano il suo carico prezioso, si è chinato a bere lungo le rive di un laghetto.Ho ritagliato la foto: guarda, è tutta stropicciata, ormai, ma io tutte le sere, prima di addormentarmi, accarezzo l'immagine di questo asinello. Vedi che non è poi niente di brutto accarezzare un asino se sei un asino anche tu?
Bellissimo!!
Datemi un fazzoletto, sono commosso...le lacrime mi arrivano sugli zoccoli.